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torri, tette e grembiulini

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febbrebigE’ il torrido luglio bolognese: sudore che scorre a rivoli sul selciato, calore trattenuto dal marmo del Crescentone ed sprigionato, lentamente, nella notte. E’ il 2010, e mi ritrovo con l’amica del cuore in Piazza Maggiore, per assistere alle varie proiezioni gratuite estive. Quella sera danno la “La febbre del fare”, un bel documentario di Michele Mellara e Alessandro Rossi.

Sono passati alcuni anni, ma una delle scene che ricordo con maggior chiarezza era quella dedicata alle scuole materne emiliane. – “Andammo a Stoccolma per studiare come funzionavano gli asili, e il biglietto ce lo pagammo di tasca perche’ allora si usava cosi’,” ricorda dal maxischermo una consigliera comunale di quei tempi, mentre nella piazza scrosciano gli applausi; del resto e’ la stessa piazza che pochi anni prima aveva incoronato Grillo al primo Vaffa Day, l’umore contro la corruzione e’ gia’ pesante e lo scandalo Del Bono e’ una memoria recentissima.

Quelle immagini trasmettevano l’idea che la scuola materna emiliana fosse un vanto, una conquista sociale non solo per le madri lavoratrici ma soprattutto per i bambini, finalmente considerati persone e non appendici dei loro genitori. Quella scuola studiata dagli esperti in tutto il mondo e’ ancor oggi uno dei simboli del famoso modello emiliano, lo stesso modello che – si dice – resiste a tutto, persino ai terremoti. Eppure, la sinistra che si dice erede di Dozza  e che per un film come “La febbre del fare” si e’ certamente spellata le mani, in questi mesi si e’ arrampicata sugli specchi per cercare di dimostrare che i finanziamenti alle private in fondo fanno bene a tutti, e che sostenere la scuola pubblica e’ una cosa da pericolosi sovversivi. Da bleccblocc, magari.

Oggi, 27 maggio 2013, Bologna e’ di nuovo un luogo simbolico per l’educazione, a sinistra. Per la prima volta dopo quasi quindici anni il fronte della scuola pubblica segna una vittoria importante.

Certo, l’affluenza e’ stata bassa, anche nell’ambito di un tipo di consultazione senza quorum che raramente vede grandi masse recarsi alle urne (il referendum che nel 1997 portò alla privatizzazione delle Farmacie Comunali vide poco piu’ del 36% di affluenza, e su tre giorni). Non so quanto questo risultato incidera’ sulla realta’ dei servizi cittadini: un Comune che ha fatto di tutto per boicottare il voto, riducendo il numero dei seggi, facendo propaganda nemmeno troppo mascherata, amplificando vergognosamente la campagna di un solo schieramento e dipingendo gli avversari in modo sleale, non avra’ certo interesse a tener fede a questo risultato. E’ gia’ partito il balletto delle scuse, dei distinguo, delle sottili analisi per scorporare il voto e dimostrare che in realta’, se la A ha vinto, e’ solo perche’ il gioco non vale. B come Bambini, appunti, per non dire cinnazzi.

Per età e storia politica, ho fatto in tempo, purtroppo, ad assistere alla distorsione mentale per cui i sostenitori della scuola pubblica si sentono continuamente dire che sono di parte, mentre i difensori di interessi (oltre che scuole) privatissimi vengono fatti passare per portavoce della collettività.

E’ il 1998, e l’Emilia Romagna, pochi mesi dopo la Lombardia guidata da Formigoni, propone una legge che introduce surrettiziamente il finanziamento pubblico alle scuole non statali. Per me che ho 14 anni, la questione e’ confusa, ma di pancia sento che la Rivola è una bella schifezza. Gli unici che conosco che sono a favore delle private sono i ciellini che frequentano la mia (ottima) scuola pubblica: a parole si lamentano che la loro opinione non sia rispettata, ma in realta’ vorrebbero che il loro particolare credo (che è tanto politico quanto religioso, trattandosi pur sempre di CL) venisse propinato a tutti come la minestra del giovedi’ alla mensa di Giamburrasca.

Io che ho respirato l’aria della scuola pubblica, piena di germi ma anche di idee e di differenze, mi trovo in piazza un pomeriggio alla fine di febbraio, per quella che e’ forse la mia prima grande manifestazione. Siamo cinquantamila, strilla Moretto da un megafono. Col senno di poi la cifra mi pare dubbia, certo e’ che di gente ce n’e’ davvero tanta. La Legge Rivola va avanti, viene modificata per includere tra i possibili beneficiari anche — bontà loro — alunni di scuole pubbliche, ma il principio resta. E’ il cavallo di Troia.

E’ il 2001, e passa il referendum per la riforma del Titolo V della Costituzione. Il principio della sussidiarieta’ orizzontale viene fatto passare per un miglioramento dei servizi (anzi no, dell’offerta, con terminologia biecamente capitalistica), mentre la PseuDoSinistra si ammanta di parole vuote e roboanti come “liberta’”, “trasparenza”, “efficienza.” Il fronte del NO e’ in mano a poche decine di persone, le solite facce abituate a schierarsi contro il senso comune, dalla parte del torto. E’ una battaglia persa in partenza. Il referendum confermativo non raggiunge il quorum, che comunque non e’ richiesto: e siccome hanno vinto i “buoni”, nessuno fa obiezioni. Anno dopo anno sembra che non ci sia speranza. Ma il senso comune puo’ cambiare, soprattutto quando i soldi finiscono e l’illusione collettiva di essere tutti belli biondi e borghesi svanisce per forza in una bolla di sapone. Il risultato di Bologna ne e’ la dimostrazione.

____

Ora che i numeri sono noti, i pareri si moltiplicano. C’e’ chi dice che a pronunciarsi per la A sia stato poco piu’ del 16% degli aventi diritto, e sulla base di questa logica vorrebbe imporre all’intera citta’ il volere, evidentemente piu’ rappresentativo, dell’11% scarso. C’e’ chi si rimangia le regole, chi promette ricorsi, chi lamenta ingiustizie e brogli, chi parla di una mobilitazione inesistente e chi invece sostiene che, a conti fatti, l’affluenza non sia stata cosi’ malvagia.

Ho anch’io una mia teoria politica: che in Italia, e particolarmente in Emilia, quando si parla di scuola ci siano due tipi di sinistre. C’e’ quella che sostiene la scuola pubblica sempre e comunque: per una questione di principio, per quella che gli altri chiamano ideologia (come se dall’altro lato invece non ci fossero implicazioni politiche e interessi di parte) e che a me sembra invece una banale questione di coerenza. Poi c’e’ la sinistra a soffietto, che funziona come una porta scorrevole o un armadio a scomparsa. Per esempio, se al Ministero siede una Moratti, una Gelmini o magari un d’Onofrio, allora siamo per la scuola pubblica senza e senza ma: scendiamo compatti in piazza cantando bandiera rossa e agitando cartelli. Se invece al ministero ci stanno Berlinguer o Carrozza, contrordine compagni!, cominciano i distinguo, le giravolte, e a volte i capitomboli. Come in quest’ultimo referendum cittadino, col PD che si è trovato in bella compagnia, tra la Lega, Bagnasco, e chi piu ne ha piu’ ne metta.

Per alcune persone, che si sentono costrette ad arrampicarsi sugli specchi in nome di una malintesa coerenza, quasi quasi mi dispiace. Sul serio. C’e’ gente che ha fatto le proteste contro la Gelmini e che a ‘sto giro non sapeva piu’ cosa inventarsi per sostenere che finanziare le private non vuol dire finanziare le private. Oppure gente che ai tempi della Moratti srotolava striscioni dalle torri contro i finanziamenti alle scuole private, che in questi mesi si e’ prodotta in sforzi altrettanto ginnici pur di difendere l’opzione B. E il tutto senza mai, nemmeno per un attimo, discutere criticamente un’oleografia fatta di sfogline volontarie alle feste dell’Unita’, di foto in bianco e nero, di strisce tricolori, di minuti di silenzio, di ossequi al passato. Nel frattempo quei  servizi che erano il fiore all’occhiello e il simbolo del modello emiliano sono stati saccheggiati, smontati, o svenduti per due lire. La scuola pubblica, i consultori di quartiere, le farmacie comunali: l’elenco sarebbe lungo. Cimeli buoni solo per l’Archivio Storico, per dar colore alle rievocazioni dei bei tempi andati e per riempire qualche strenna natalizia.

Dopo quasi quindici anni di lotte e di proteste e di raccolte di firme sotto il solleone e di cariche contro i mulini a vento, il fronte della scuola pubblica raccoglie la sua prima vittoria: una vittoria costruita non in mesi di mobilitazione, ma in anni di lavoro sul campo e di informazione. All’altra sinistra (che continuo a chiamare tale più che altro per pietà) tra un po’ non rimarrà che l’orgoglio felsineo. Perche’ il modello emiliano, se lo svuoti dei suoi servizi, e del suo senso di collettività e della sua cultura laica, non è altro che una celebrazione stantia e impettita della propria identità: un principio che va bene giusto per gli elettori della Lega.



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